di Giovanna Girardi
È passato quasi un mese da quando Fuocoammare di Gianfranco Rosi ha vinto alla Berlinale, lo scorso 20 febbraio. Qualche giorno dopo, più o meno appena il film è uscito nelle sale, sono andata a vederlo. Ero incredibilmente attratta dall’ultimo lavoro di uno tra i grandi nomi del nostro cinema, memore del suo meraviglioso Sacro GRA, che si aggiudicò il Leone d’Oro a Venezia nel 2013. È un luogo comune che oggi il cinema italiano sia scadente: c’è Sorrentino, ci sono Virzì e Moretti, e c’è sicuramente anche Gianfranco Rosi, un regista che ha riportato il grande pubblico di fronte ai documentari. Certo, il suo è un documentario romanzato, poiché della realtà mostra la poesia. Ma si tratta sempre di tempi, fatti e persone reali.
In questo caso, la poesia di Rosi diventa perfino urlante, straziante nel silenzio, perché parla di Lampedusa. Come per Sacro GRA, Gianfranco Rosi ha scelto un luogo e l’ha guardato orizzontalmente: se allora si era fissato su un punto e aveva girato la testa tutt’intorno seguendo il Grande Raccordo Anulare di Roma con i suoi personaggi, questa volta si muove entro il confine dell’isola siciliana, a diversi livelli, dai fondali marini alle fronde degli alberi. E noi incontriamo nuovi protagonisti, come Samuele, un simpatico ragazzino curioso e appassionato di fionde, sua nonna, uno speaker radiofonico la cui musica funziona da collante, un dottore, un sub a caccia di ricci di mare e i migranti partiti dall’Africa.
Rosi racconta, in sintesi, tutto ciò che accade quotidianamente a Lampedusa, e lo racconta per immagini. Nonostante il tema della migrazione divenga facilmente fonte di dibattito, un tema politico, il regista quasi non ammette discorsi al riguardo: piuttosto i migranti ci guardano e noi guardiamo loro, forse per la prima volta dritto negli occhi. Finalmente, non possiamo non riconoscerli come persone. Capiamo che quello che passa nei loro occhi è umano, ci appartiene. E un’immagine apparentemente così semplice commuove come nemmeno le più cruente testimonianze sanno fare.
D'altra parte tutte le immagini del film sono di grandissimo valore: la fotografia è dello stesso Gianfranco Rosi e il montaggio è del suo fido collaboratore Jacopo Quadri. Insieme, i due rendono magica anche l’apertura di un portellone navale. Così, attraverso immagini magistralmente dirette, Rosi ricompone la vita a Lampedusa nei suoi dettagli. Sono avvenimenti piccoli, quotidiani, dalla visita di Samuele dal dottore, ai suoi giri in minimoto, fino alle registrazioni efficienti e seriali delle persone arrivate dall’Africa. Tutto è raccontato con occhio lucido e gentile, e in qualche caso coscientemente indiscreto.
Sul delicato argomento dell'immigrazione in effetti Fuocoammare va al di là di ciò che riportano i media, sempre costretti dalle logiche di brevità e novità. Ascoltiamo, per esempio, il pezzo rap di un ragazzo sul suo viaggio dall’Africa sub-sahariana: molte di queste persone arrivano da paesi come la Somalia, l’Eritrea, il Mali e a volte restano bloccate in Libia, dopo un viaggio disumano ai limiti della sopravvivenza (il tema è toccato anche in Non dirmi che hai paura, un bellissimo libro di Giuseppe Catozzella). Oppure, assistiamo a come i migranti dall’Africa vengano registrati, perquisiti e salvati dalla Marina. Apprendiamo in che condizioni arrivano, oppure no.
Vincendo l’Orso d’Oro Gianfranco Rosi ha detto: «Dedico il premio a tutte le persone che non sono riuscite ad arrivare su quest’isola nel loro viaggio della speranza, e ai lampedusani che dai primi sbarchi del 1991 accolgono chi scappa dalla fame e dalle guerre. È un posto di pescatori che accetta tutto quello che viene dal mare. Una lezione che dovrebbe essere imparata da tutti. Non è accettabile che la gente muoia in fuga dalle tragedie». Poi in un’intervista al Corriere ha aggiunto che vorrebbe far vedere il film a tutti i politici, soprattutto a «quello ‘cattivo’, Matteo Salvini».
Non è un caso che mi sia decisa a scrivere di Fuocoammare proprio oggi. Poco più di 24 ore fa l’Unione Europea ha siglato un accordo con la Turchia sulla crisi migratoria per quanto riguarda il fronte est, cioè quello che dal Medio Oriente passa attraverso la Turchia, l’Egeo, la Grecia e, quando c'arriva, la Macedonia, l’Austria e il nord Europa. L’accordo è stato criticato da varie parti, come Amnesty International, l’UNHRC e (ovviamente) la Grecia, che non si sente abbastanza supportata dagli altri stati della Comunità. Il problema è che, secondo quanto dicono gli oppositori, l'accordo viola la convenzione di Ginevra sui diritti dell'uomo. Ma qui non scenderò nei dettagli della faccenda, limitandomi a trarre due brevi conclusioni: la questione degli accordi è molto complessa e la vittoria di Fuocoammare è molto simbolica.
Molto simbolica, ma non inutile. Fuocoammare forse non ha influenzato le decisioni politiche, ma è passato nelle sale cinematografiche, toccando il pubblico e la sua consapevolezza. È un film che informa senza violentare e risveglia l'empatia umana senza scadere in facili sensazionalismi. Quindi se riuscite ancora a trovarlo, lo consiglio senza dubbio.
In questo caso, la poesia di Rosi diventa perfino urlante, straziante nel silenzio, perché parla di Lampedusa. Come per Sacro GRA, Gianfranco Rosi ha scelto un luogo e l’ha guardato orizzontalmente: se allora si era fissato su un punto e aveva girato la testa tutt’intorno seguendo il Grande Raccordo Anulare di Roma con i suoi personaggi, questa volta si muove entro il confine dell’isola siciliana, a diversi livelli, dai fondali marini alle fronde degli alberi. E noi incontriamo nuovi protagonisti, come Samuele, un simpatico ragazzino curioso e appassionato di fionde, sua nonna, uno speaker radiofonico la cui musica funziona da collante, un dottore, un sub a caccia di ricci di mare e i migranti partiti dall’Africa.
Rosi racconta, in sintesi, tutto ciò che accade quotidianamente a Lampedusa, e lo racconta per immagini. Nonostante il tema della migrazione divenga facilmente fonte di dibattito, un tema politico, il regista quasi non ammette discorsi al riguardo: piuttosto i migranti ci guardano e noi guardiamo loro, forse per la prima volta dritto negli occhi. Finalmente, non possiamo non riconoscerli come persone. Capiamo che quello che passa nei loro occhi è umano, ci appartiene. E un’immagine apparentemente così semplice commuove come nemmeno le più cruente testimonianze sanno fare.
D'altra parte tutte le immagini del film sono di grandissimo valore: la fotografia è dello stesso Gianfranco Rosi e il montaggio è del suo fido collaboratore Jacopo Quadri. Insieme, i due rendono magica anche l’apertura di un portellone navale. Così, attraverso immagini magistralmente dirette, Rosi ricompone la vita a Lampedusa nei suoi dettagli. Sono avvenimenti piccoli, quotidiani, dalla visita di Samuele dal dottore, ai suoi giri in minimoto, fino alle registrazioni efficienti e seriali delle persone arrivate dall’Africa. Tutto è raccontato con occhio lucido e gentile, e in qualche caso coscientemente indiscreto.
Sul delicato argomento dell'immigrazione in effetti Fuocoammare va al di là di ciò che riportano i media, sempre costretti dalle logiche di brevità e novità. Ascoltiamo, per esempio, il pezzo rap di un ragazzo sul suo viaggio dall’Africa sub-sahariana: molte di queste persone arrivano da paesi come la Somalia, l’Eritrea, il Mali e a volte restano bloccate in Libia, dopo un viaggio disumano ai limiti della sopravvivenza (il tema è toccato anche in Non dirmi che hai paura, un bellissimo libro di Giuseppe Catozzella). Oppure, assistiamo a come i migranti dall’Africa vengano registrati, perquisiti e salvati dalla Marina. Apprendiamo in che condizioni arrivano, oppure no.
Vincendo l’Orso d’Oro Gianfranco Rosi ha detto: «Dedico il premio a tutte le persone che non sono riuscite ad arrivare su quest’isola nel loro viaggio della speranza, e ai lampedusani che dai primi sbarchi del 1991 accolgono chi scappa dalla fame e dalle guerre. È un posto di pescatori che accetta tutto quello che viene dal mare. Una lezione che dovrebbe essere imparata da tutti. Non è accettabile che la gente muoia in fuga dalle tragedie». Poi in un’intervista al Corriere ha aggiunto che vorrebbe far vedere il film a tutti i politici, soprattutto a «quello ‘cattivo’, Matteo Salvini».
Non è un caso che mi sia decisa a scrivere di Fuocoammare proprio oggi. Poco più di 24 ore fa l’Unione Europea ha siglato un accordo con la Turchia sulla crisi migratoria per quanto riguarda il fronte est, cioè quello che dal Medio Oriente passa attraverso la Turchia, l’Egeo, la Grecia e, quando c'arriva, la Macedonia, l’Austria e il nord Europa. L’accordo è stato criticato da varie parti, come Amnesty International, l’UNHRC e (ovviamente) la Grecia, che non si sente abbastanza supportata dagli altri stati della Comunità. Il problema è che, secondo quanto dicono gli oppositori, l'accordo viola la convenzione di Ginevra sui diritti dell'uomo. Ma qui non scenderò nei dettagli della faccenda, limitandomi a trarre due brevi conclusioni: la questione degli accordi è molto complessa e la vittoria di Fuocoammare è molto simbolica.
Molto simbolica, ma non inutile. Fuocoammare forse non ha influenzato le decisioni politiche, ma è passato nelle sale cinematografiche, toccando il pubblico e la sua consapevolezza. È un film che informa senza violentare e risveglia l'empatia umana senza scadere in facili sensazionalismi. Quindi se riuscite ancora a trovarlo, lo consiglio senza dubbio.