Ho sempre detto che non considero gli episodi de L'amica geniale alta letteratura, ma senza dubbio sono una lettura appassionata, un bel romanzo che mi ha coinvolta come potrebbe fare una droga da pagina 100. Oggi, per i lettori della Ferrante, è stato un giorno importante, perché un'indagine ha rivelato definitivamente chi è.
Nonostante abbia tentato - invano - di non scoprire la vera identità di Elena Ferrante, sono stata bombardata di articoli su tutti i giornali con il suo nome e faccione in prima battuta. Non intendo soffermarmi sul fatto che i mezzi utilizzati sono da indagine poliziesca, che il diritto all'anonimato a fronte di nessun reato è assolutamente sacrosanto, che Il Sole 24 ore e il New York Review of Books avrebbero potuto spendere quei soldi per uno stagista sottopagato, che sempre loro avrebbero potuto usare quel tempo per un nuovo Vatileaks, che è sacrosanto anche il diritto dell'editore a un'azione di mercato furba e controcorrente in questo mondo dell'immagine, vorrei sottolineare invece quanto tutti coloro che hanno gridato all'identificazione dell'autrice siano totalmente privi di poesia. Scrivete di libri, parlate di libri ma non sapete minimante cos'è quel mondo dai confini sfumati e dai limiti indefiniti che si dice immaginario, dove un volto può non avere gli occhi ma i capelli di un colore precisissimo, un corpo può essere alto così ma non avere esattamente le gambe, due quartieri possono appartenere alla stessa città senza che ci sia alcuna strada a metterli in contatto.
A voi, cari uomini senza poesia, un sarcastico grazie (e dico "grazie" solo perché non mi sento a mio agio con la retorica grillina): stavate per rovinarmi il piacere di immaginare Elena Greco, ed Elena Ferrante (forse - forse è un uomo?), in quel modo lì. Per fortuna il mondo dell'immaginario che voi deturpate e disturbate è agile, flessibile, e io posso anche permettermi di cancellare quel volto apparso su tutti i giornali restando attaccata al mio. Lasciare, al posto dei vostri percorsi catastali dettagliati, quell'alone di mistero che ha contribuito a collocare la tetralogia di Elena Ferrante in una bolla sospesa nell'aria, "in un altro mondo ma in questo"... Una frase banalissima che si oppone con fatica al mondo iperreale dei Social che ingoia tutto a cominciare dai Media. Al contrario rivolgo un grazie sincero a Michele Serra perché ha voluto conservare anonimato e mistero pur spiegando la faccenda.
Per concludere, cito il mio caro Mikel Dufrenne, umanista prima che filosofo: «Il poeta è presente nella sua opera, come colui che l'ha composta e che ci apre quel mondo singolare che non possiamo battezzare, per identificarlo, se non dandogli il nome del suo autore; al punto che siamo tentati di pensare che esprimendo quel mondo, egli esprima se stesso: poiché è il correlato di quel mondo, quel mondo non sarebbe altro che ciò che ha di mira, quello che direbbe sarebbe per lui solo un modo di dirsi, e non occorrerebbe cercare oltre il componimento poetico la verità del poeta».
Nonostante abbia tentato - invano - di non scoprire la vera identità di Elena Ferrante, sono stata bombardata di articoli su tutti i giornali con il suo nome e faccione in prima battuta. Non intendo soffermarmi sul fatto che i mezzi utilizzati sono da indagine poliziesca, che il diritto all'anonimato a fronte di nessun reato è assolutamente sacrosanto, che Il Sole 24 ore e il New York Review of Books avrebbero potuto spendere quei soldi per uno stagista sottopagato, che sempre loro avrebbero potuto usare quel tempo per un nuovo Vatileaks, che è sacrosanto anche il diritto dell'editore a un'azione di mercato furba e controcorrente in questo mondo dell'immagine, vorrei sottolineare invece quanto tutti coloro che hanno gridato all'identificazione dell'autrice siano totalmente privi di poesia. Scrivete di libri, parlate di libri ma non sapete minimante cos'è quel mondo dai confini sfumati e dai limiti indefiniti che si dice immaginario, dove un volto può non avere gli occhi ma i capelli di un colore precisissimo, un corpo può essere alto così ma non avere esattamente le gambe, due quartieri possono appartenere alla stessa città senza che ci sia alcuna strada a metterli in contatto.
A voi, cari uomini senza poesia, un sarcastico grazie (e dico "grazie" solo perché non mi sento a mio agio con la retorica grillina): stavate per rovinarmi il piacere di immaginare Elena Greco, ed Elena Ferrante (forse - forse è un uomo?), in quel modo lì. Per fortuna il mondo dell'immaginario che voi deturpate e disturbate è agile, flessibile, e io posso anche permettermi di cancellare quel volto apparso su tutti i giornali restando attaccata al mio. Lasciare, al posto dei vostri percorsi catastali dettagliati, quell'alone di mistero che ha contribuito a collocare la tetralogia di Elena Ferrante in una bolla sospesa nell'aria, "in un altro mondo ma in questo"... Una frase banalissima che si oppone con fatica al mondo iperreale dei Social che ingoia tutto a cominciare dai Media. Al contrario rivolgo un grazie sincero a Michele Serra perché ha voluto conservare anonimato e mistero pur spiegando la faccenda.
Per concludere, cito il mio caro Mikel Dufrenne, umanista prima che filosofo: «Il poeta è presente nella sua opera, come colui che l'ha composta e che ci apre quel mondo singolare che non possiamo battezzare, per identificarlo, se non dandogli il nome del suo autore; al punto che siamo tentati di pensare che esprimendo quel mondo, egli esprima se stesso: poiché è il correlato di quel mondo, quel mondo non sarebbe altro che ciò che ha di mira, quello che direbbe sarebbe per lui solo un modo di dirsi, e non occorrerebbe cercare oltre il componimento poetico la verità del poeta».